Leggere, scrivere, comunicare: riflessioni su un concorso di scrittura creativa
Martedì sono capitata a una serata di 8×8 – Un concorso letterario dove si sente la voce, un concorso organizzato da Oblique Studio in cui in ogni serata 8 scrittori esordienti (e no) selezionati leggono un proprio racconto in 8 minuti per essere poi giudicati da affermate case editrici come Minimum Fax, Fazi, Nottetempo, Voland e Fandango.
Il primo classificato si aggiudica 5 libri della casa editrice madrina della serata e la possibilità di partecipare alla serata finale al Salone del libro di Torino, per gli altri un bel libro di consolazione.
Il Caffé Fandango, luogo che ospita le “eliminatorie” si rivela alquanto accogliente, non perché il locale sia meraviglioso o l’aperitivo gustoso (per la verità il locale è divinamente posizionato a Piazza di Pietra, ma veramente angusto; l’aperitivo il più scadente che abbia mai consumato per 10 euro a Roma), quanto per il fatto che per un evento come questo riesce a riempirsi non solamente degli amici dei partecipanti, ma anche di curiosi e appassionati, perché è un luogo dall’arredamento tanto buffo quanto creativamente stimolante, perché ha un nome che sa di sfide, di attività brulicante, di innovazione, per quanto poca ne produca il cinema italiano.
La serata è stata piacevole e mi ha fatto venir voglia di prendere appunti e poi rifletterci su, soprattutto sul fatto che 8×8 sia un concorso in cui non basta saper scrivere, ma si deve essere anche bravi nella lettura “recitata”, nella lettura quindi che “serve” a supportare la narrativa quando viene “detta” ad alta voce: addirittura i giurati, a differenza dell’organizzatore/selezionatore, erano del tutto all’oscuro dei racconti che sarebbero stati letti. Critico letterario, editore, redattrice di casa editrice e responsabile commerciale, nonostante abituati a rapportarsi con la scrittura da lettori, sono diventati per una sera uditori.
Perché?
Me lo sono chiesto ripetutamente per tutta la durata dell’evento, in parte anche perché terribilmente in imbarazzo per 6 degli 8 scrittori inediti che hanno trasformato i loro più o meno promettenti racconti in terribili cantilene piene di timida incertezza.
Consapevole del fatto che chi scrive spesso lo fa perché si esprime meglio quando non usa la voce, che accade che un bravo scrittore sia anche un bravo lettore/attore probabilmente tanto spesso quanto accade il contrario, inizialmente mi è sembrato ingiusto e quasi umiliante per l’autore, la cui lettura influisce moltissimo sulla percezione del racconto da parte dei presenti.
Ho capito solo alla fine.
Essendo una delle caratteristiche peculiari del concorso, la lettura ad alta voce era un’abilità che l’autore avrebbe dovuto tenere in degna considerazione sin dal principio, tanto quanto la richiesta di scrivere in una certa lingua piuttosto che in un’altra. L’autore incapace o troppo incline all’imbarazzo per leggere in pubblico ad alta voce avrebbe dovuto esercitarsi moltissimo o addirittura lasciar perdere prediligendo un’altra tipologia di concorso letterario di scrittura creativa, consapevole dell’impossibilità di un risultato all’altezza delle aspettative del pubblico: fa anche quello parte della “promessa al lettore/uditore” per un concorso così concepito: un concorso in cui lettura e scrittura sono strettamente legate, che premia la comunicazione narrativa nella sua interezza, in cui comunicare emozioni e idee è importante quanto se non più di saperle scrivere.
A questo punto la mia domanda iniziale (perché costringere l’autore a leggere il proprio racconto?) si è trasforamata in una mia incomprensione nei confronti dell’atteggiamento degli scrittori partecipanti: perché la maggior parte di voi ha voluto regalare al pubblico una lettura noiosa e senza ritmo (o dal ritmo del tutto inappropriato) probabilmente pensando che leggere nella propria mente sia uguale a leggere ad alta voce?
Questo ancora devo capirlo!
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