Roma e l’arte contemporanea: il MAXXI
Dato che quest’anno sto lavorando anche ad agosto, ho deciso che in questi giorni era assolutamente necessario dedicare almeno qualche ora alla mia passione per l’arte contemporanea e il design esplorando gli spazi che Roma dedica a questo tipo di esperienze comunicative. Ho iniziato andando a visitare il MAXXI giovedì scorso (unico giorno in cui il museo – ma si potrà poi chiamare museo? – è aperto sino alle 22).
QUANDO SI ARRIVA AL MAXXI: IL CORTILE E L’ATRIO
Arrivando al MAXXI si assiste alla letterale visualizzazione della sua mission:
“L’arte ha anche l’importante funzione di essere mezzo di comunicazione. L’arte è linguaggio iconico e simbolico e perciò dotato di una comprensibilità superiore a quella del linguaggio parlato o scritto. E’ evidente, quindi, che l’immediatezza e l’universalità della comunicazione artistica possono contribuire alla comprensione di mondi e culture altrimenti estranei e potenzialmente confliggenti, favorendo la coesistenza delle differenze.” [fonte]
Si attraversa un grande cancello di metallo per ritrovarsi in un enorme piazzale che somiglia tanto a un parco quanto a un rebus: alberi veri e tronchi di metallo, una costruzione da esplorare, l’imponente Calamita Cosmica [Gino De Dominicis, 1989], l’incrociarsi dei grandi volumi della struttura architettonica del “museo” che guardano in direzioni diverse lasciando intuire le opere che ospitano… tutto pare sospeso nel tempo e nello spazio, tutto serve a preparare al viaggio che attende il visitatore oltre le grandi vetrate ed è allo stesso tempo parte del viaggio stesso in quanto parte dell’esposizione con “MAXXI_HADID: Il progetto del MAXXI” (fino al 26 settembre 2010).
Oltrepassate le vetrate, appunto, oltre al non-troppo-cortese-per-la-verità receptionist che non fa che sottolineare che “non sono previsti sconti di NESSUN tipo, per NESSUN motivo”, dopo aver pagato dunque gli 11 euro di biglietto, la visita inizia già nell’atrio in cui sono da osservare con meraviglia gli altissimi soffitti strabordanti di scale che ricordano Escher.
IN ESPOSIZIONE AL MAXXI: QUEL CHE HO VISTO IO E CHE MI HA COLPITO
Widow – Anish Kapoor
Devo subito dire, rispetto all’intero percorso espositivo, che l’artista che mi ha (per la seconda volta) stregato attraverso la sua istallazione è stata Anish Kapoor con Widow, una imponente struttura in PVC lunga 15 metri e che ricorda nella forma un o trumento musicale, una doppia tromba o un corno… quel che mi colpisce sono sempre le sinuose forme enormi, che percepisco come tristi senza capire il perché e il terribile vuoto buio che sembrano contenere, questa volta allo stesso modo di quando ho visto Memory.
Spazio. Dalle collezioni di arte e architettura del MAXXI – fino al 23 gennaio 2011
Lo spazio è la tematica che fa da filo d’arianna a questo primo allestimento della collezione permanente del MAXXI: lo spazio vissuto, lo spazio attraversato e che ci attraversa, lo spazio osservato e da osservare, lo spazio visto e lo spazio invisibile, quello vissuto quotidianamente come quello solo immaginato… gli artisti in esposizione lavorano ognuno in maniera differente su questo concetto, portando a termine una personale eplorazione che lo spettatore è chiamato a percepire come esperienza condivisa.
In particolare ho apprezzato Il muro occidentale del pianto di Fabio Mauri (1993):
“costituita da una serie di vecchie valigie di cuoio sovrapposte e composte in modo da realizzare un muro di quattro metri, dalla superficie regolare davanti e irregolare sul retro, sul quale trovano posto soltanto una piccola pianta di edera e una fotografia della sua prima performance (Ebrea) risalente agli anni settanta”
Oltre al riferimento a Gerusalemme e alla diaspora, credo che si possa guardare a questa opera anche come un simbolo di esilio se possibile più grande e attuale, non basato solo sulla provenienza o religione degli individui, ma legato al senso stesso della vita contemporanea spesso frenetica, in cui sembra di essere sempre in partenza verso qualcosa.
Le esposizioni “monografiche”: Gino De Dominicis, Luigi Moretti, Kutlug Ataman
L’esposizione dei lavori di Gino De Dominicis (fino al 7 novembre 2010) aveva come topic “l’immortale”, ma quel che mi ha colpito maggiormente è stata invece l‘ironia delle sue opere, il messaggio sussurrato al suo pubblico, il sorriso che strappavano alcune titolazioni, l’entropia e il ribaltamento dei punti di vista a cui mi è sembrato l’artista tendesse.
Il senso di entropia c’è anche, a mio avviso, nei progetti di Luigi Moretti (fino al 28 novembre 2010), ma lui sembra averlo piegato ad uno scopo e reso linea geometrica, razionale: nel suo caso l’architettura riesce a ricordurre un ordine nel caos senza rinunciare alle forme impreviste o inventate, come nel caso del progetto di santuario sul lago di Tiberiade a Tabgha (Palestina).
Le opere di Kutlug Ataman raccolte in Mesopotamian Dramaturgies (fino al 12 settembre 2010) sono invece molto più intime e personali, descrivono l’identità collettiva fotografando quella individuale (siamo parte di un tutto, proprio come ogni monitor nell’istallazione Column), sottolineando gli attriti, le differenze e le incomprensioni che questo comporta soprattutto quando l’identità collettiva è in via di formazione.
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Hai del gran talento nel dare al lettore con i tuoi resoconti la sensazione di essere anch’egli nel luogo di cui stai parlando. Questa è una capacità che si apprezza molto chiaramente e che rende molto interessante ogni tuo scritto. Ho notato che è basilare nell’arte moderna tutto quello che gravita intorno al concetto di entropia in quanto, tramite questa, si interpreta il messaggio che l’autore vuol dare con la sua opera. Sono aspetti per me nuovi e che spero di poter approfondire per meglio capire questo mondo affascinante.Chapeou!
Non sono un’esperta di arte contemporanea, non ne ho mai approfondito lo studio, ma mi affascina particolarmente. Scivo di quel che mi appassiona, parlo veramente da spettatrice, lo faccio per puro amore di condivisione e sono contanta di riuscire a trasmettere qualcosa. Grazie