"La scopa del sistema" David Foster Wallace

La scopa del sistema – ovvero – Il mio terzo libro di David Foster Wallace

A Berlino ho finalmente avuto occasione di finire La scopa del sistema, il mio terzo libro, nonché primo romanzo, di David Foster Wallace, da qualche tempo tra i miei scrittori preferiti.

"La scopa del sistema" David Foster Wallace

Molti ritengono che sia questa l’opera da cui iniziare la lettura di DFW, la migliore per entrare in contatto con “il suo mondo”: forse hanno ragione, ma la logica che ci spinge a scegliere un libro piuttosto che un altro ha sempre un non so ché di magico e incomprensibile… per me il momento de La scopa del sistema è arrivato solo dopo aver letto La ragazza dai capelli strani e Una cosa divertente che non farò mai più e mi ha regalato comunque emozioni uniche! 🙂

IL TEMPO

Il romanzo molto mi ha fatto riflettere sul, e assaporare il, concetto di tempo. Un tempo che scorre “facendo capriole”, un tempo fatto di spesso di ricordi e, per questo, differente per ogni personaggio (e son tanti!), per ogni situazione. Le prospettive temporali si distinguono e si accavallano a seconda del personaggio con il quale si empatizza.

Leggere La scopa del sistema, dal punto di vista dello scorrere del tempo narrativo, è un’esperienza molto simile alla visione di un film: i silenzi, gli avvenimenti, le sovrapposizioni dei dialoghi, divengono visioni nella mente del lettore, lettore che rimane completamente avviluppato nelle spire degli eventi che si fagocitano l’un l’altro per poi dipanarsi magicamente nel non detto.

IL CORPO

Il romanzo è costruito attorno alla “carne” dei personaggi. Come dice Bratezzaghi nella sua introduzione “i personaggi si caratterizzano per il corpo che hanno e per quello che ne fanno: vestirsi, vomitare, svestirsi, toccarsi, mangiare, bere, vivere in una camera iperriscaldata a causa di uno squilibrio termico del corpo, assaporare una breve epistassi…, attraverso una gamma molto ampia di tutti i possibili gesti, posture, apparenze, deiezioni e assunzioni”.

Il corpo di ognuno di loro è adulato o criticato in modo unico, vive nei/dei propri difetti e pregi, nelle/delle caratteristiche peculiari di volta in volta esibite o dissimulate, ma sempre impossibili da nascondere e impossibili da mostrare completamente.

I DETTAGLI E I PAESAGGI

Anche in questo scritto, David Foster Wallace è generoso nei dettagli. La cura che ha nel descriverli è deliziosamente maniacale: non cade mai nell’inutile eccesso, ma cattura l’attenzione del lettore, lo irretisce, lo lascia ragionare e poi gli mostra il motivo del suo evidenziare un colore o un oggetto. DFW ritrae l’America nella sua essenza multimensionale, e lo fa rendendo folle il realismo e realistica la follia che assume le sue più assurde forme nei paesaggi: la citta di East Corinth, progettata in modo chedall’alto appaia come la sagoma dell’attrice Jayne Mansfield; il DIO (Deserto Incommensurabile dell’Ohio), “costruito” ai margini di Cleveland.

GOVERNATORE: Signori, ci serve un deserto.

Mr LUNGBERG  e Mr OBSTAT: Un deserto?

GOVERNATORE: Sissignori, un deserto. Un punto di riferimento primordiale per le buone genti dell’Ohio. Un luogo da temere e amare. Un luogo selvaggio. Qualcosa che ci rammenti contro cosa abbiamo lottato e vinto. Un luogo senza centri commerciali. Un Altro per stimolare l’Io dell’Ohio. Cactus, scorpioni e sole implacabile. Desolazione. Un luogo dove la gente possa aggirarsi in solitudine. Per riflettere. Lontano da ogni cosa. Dunque, signori, ci serve un deserto.

Mr OBSTAT: Idea geniale, Capo.

GOVERNATORE: Grazie, Neil. Signori, permettetevi di presentarvi Mr Ed Roy Yancey, della Progetti Desertici Industriali di Dallas, texas. Sono quelli che hanno realizzato il Kuwait.

[n.d.a. Andando avanti è incredibile quanto il dialogo riportato possa essere verosimilmente applicabile ad un progetto come quello del Ponte di Messina! 🙁 ]

L’ESSENZA

Pare che l’essenza del romanzo sia il racconto. Pare che Leonore, la protagonista (?), si sia fatta convincere che “tutto ciò che esiste della mia vita è limitato a quello che se ne può raccontare”. Pare che tra le pagine de La scopa del sistema ci sia più che un romanzo, più che un racconto, più che una trama… Pare che l’unica azione che possa farvi capire realmente quel che sto dicendo sia leggere il romanzo, entrare nelle sue tinte ora sature, ora sfumate, farsi ipnotizzare dagli ambienti e rapire dalle situazioni.

… E se il finale non vi soddisfa, prendete un po’ di tempo e poi leggetelo di nuovo! 😉

7 commenti
  1. giovanni
    giovanni dice:

    Ciao! Una domanda, riguardo alla prefazione di Bartezzaghi….mi sai dire dov’è che si parla della lettera rubata che costituirebbe la chiave del romanzo e che sarebbe “sotto gli occhi del lettore” (cito a memoria) ??

    Se mi sai rispondere sei la n. 1! Grazie

  2. ale
    ale dice:

    Ciao Giovanni!
    Ricordavo di aver letto qualcosa di simile alla tua frase nella prefazione di Bartezzaghi e nella mia edizione – Einaudi 2008 – è a pag XIII della prefazione alla riga 23.
    Un piacere esserti utile! 😉
    Grazie per l’enigma e a presto.

  3. M
    M dice:

    arrivato alla scopa del sistema dopo lo stesso tuo percorso (capelli strani, cosa divertente), finito ieri notte dopo averci litigato per quasi due mesi (tradendolo nel frattempo con un paio di lansdale), casco sul tuo blog dopo aver googlato, stamattina, al lavoro, continuo a non capire…parafrasando la tua conclusione:

    pare che l’essenza del romanzo sia l’assenza del racconto…una serie di profumi prelibati, da ipersalivazione, per poi rimanere dolorosamente a stomaco vuoto

    finito il romanzo…stupore, incredulità, quasi rabbia …ma allora mi hai preso per il culo! e qui non si tratta solo del non-finale alla giapponese (murakami per dirne uno) ma proprio del senso di buco allo stomaco che ti lascia…come se tutti quei rivoli, di storie, di intrecci invece di confluire in un bel fiume o tutto ad un tratto si perdono nel deserto (il Deserto Incommensurabile dell’Ohio, probabilmente)

  4. ale
    ale dice:

    Ciao M, capisco il tuo disappunto: ho letto “La scopa del sistema” oramai molto tempo fa, ma ricordo bene di averci messo un po’ di tempo anch’io ad accettarne il finale, ma poi ho capito che in Wallace il detto è importante quanto il non detto, i dettagli quanto le ellissi, il surreale e l’immaginazione quanto la realtà. E devo dire che a me i suoi libri piacciono anche per questo 🙂

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