Oblio – ovvero – Il mio quarto libro di David Foster Wallace
Continua – prevalentemente in autobus – la mia lettura delle opere, purtroppo di numero finito, di David Foster Wallace, scrittore a cui mi appassiono man mano di più.
Dopo La ragazza dai capelli strani, Una cosa divertente che non farò mai più e La scopa del sistema, ho concluso il mio quarto libro di DFW: Oblio, una raccolta di 8 racconti, 8 perle di introspezione, 8 capolavori di sapiente scrittura, mai troppo lunghi né troppo brevi.
1. MISTER SQUISHY
La storia di una mattina, di ciò che avviene in un certo spaccato temporale all’interno e all’esterno degli uffici di uno dei fornitori – l’agenzia pubblicitaria – dell’azienda che dà il nome al racconto, Mister Squishy. Wallace nella narrazione delle situazioni, come sua abitudine, non dimentica di includere la descrizione degli individui, della loro gestualità, delle abitudini e dei trascorsi, nonché delle associazioni mentali che probabilmente si trovarono a fare in quella mattina.
Questo racconto se fosse un audiovisivo sarebbe una intricatissima docu-fiction sulla vita d’agenzia a partire dal focus group che Terry Schmidt sta conducendo sui Misfatti!®:
[…] Un totale di 27 merendine era accatastato in forma piramidale su un grande vassoio d’argento ruotante al centro del tavolo da conferenze. Ciascusa era avvolta in un materiale transpolimerico a tenuta stagna che sembrava carta ma si strappava come plastica […]. L’involucro di questo nuovo prodotto aveva il classico disegno bianco e blu di Mister Squishy, solo che qui il simbolo di Mister Squishy compariva con gli occhi e la bocca arrotondati dallo spavento come nei cartoni animati dietro una serie di righe a trama fitta che sembravano le sbarre di una cella, e intorno a due di quelle righe o sbarre le dita grassocce e color pasta da pane del simbolo erano strette nella posizione universale comune ai prigionieri di ogni dove. Le merendine scure e dall’aspetto straordinariamente denso e umido all’interno delle confezioni erano Misfatti!: un nome rischioso e polivalente che voleva evocare e parodiare la sensazione di indulgenza/vizio/trasgressione/peccato del moderno consumatore salutista al consumo di un simile snack ipercalorico. La matrice associata al nome contemplava anche l’allusione all’età adulta e all’autonomia da adulti: nel rifiuto da mondo reale dei nomi da cartone animato comuni a tante altre merendine, la dicitura “Misfatti!” attribuita al prodotto era intesa e testata principalmente per il suo richiemo al maschio fra i 18 e i 39 anni, il target demografico più apprezzato e plasmabile del marketing di alto livello. […]
Il linguaggio “da agenzia pubblicitaria” e le descrizioni dei processi lavorativi sono talmente perfetti che durante la lettura mi sono ritrovata più volte a sorridere. 😀
2. L’ANIMA NON È UNA FUCINA
4 ostaggi involontari durante una lezione di educazione civica in quarta elementare.
4 “scolari ritardati e problematici” che rimangono imprigionati in una situazione quanto in loro stessi.
Uno di loro è la voce narrante della storia e condivide con il lettore il proprio punto di vista sul traumatico accaduto.
[…] La rete metallica che divideva la finestra in 84 piccoli riquadri con in più una fila di sottili 12 rettangoli dove la prima riga verticale della rete andava quasi a toccare il margine destro della finestra, nelle intenzioni voleva almeno in parte evitare che le finestre diventassero un diversivo e ridurre al minimo le possibilità che uno scolaro si distraesse o si perdesse nella contemplazione dello scenario esterno […]
[…] di fatto avevo prestato alle lezioni di educazione civica solo il corpo, la vera attenzione diretta perifericamente ai campi e alla strada all’esterno, divisa dal calibro reticolare della finestra in riquadri sepaati che sembravano proprio le strisce dei pannelli che racchiudono i fumetti, gli storyboard dei film […]. Vale a dire che qualsiasi cosa saltasse all’occhio nello scenario esterno […] diventava lo stimolo per una serie personalissima di film o cartoni animati immaginari, dove ogni altro riquadro della rete metallica poteva essre usato per continuare e approfondire i pannelli della narrazione […].
Seguire il flusso di coscienza del personaggio, conoscere i meccanismi dei suoi pensieri e della sua creatività, sospende la propria percezione della realtà e crea una tale empatia da rimanerne confusi quanto estasiati.
3. INCARNAZIONI DI BAMBINI BRUCIATI
Su questo racconto, brevissimo se confrontato con gli altri 7, non voglio dire solo che è la lacerante cronaca introspettiva di un incidente domestico… e ancora sobbalgìzo e sospiro nel riportarlo alla mente.
4. UN ALTRO PIONIERE
A chi non è mai capitato di viaggiare da soli, in aereo o in treno, di non riuscire a prender sonno o a concentrarsi nella lettura o in qualsiavoglia altra attività, di essere portati ad “origliare” un discorso o un racconto per noia fino ad appassionarsi tanto da cercare di colmare i vuoti dovuti ai vari rumori presenti in quel contesto?
A chi non è mai capitato di imparare qualcosa da quei racconti e di tornarci a riflettere, o di usarli all’interno di altre narrazioni?
Questo racconto parla di un’esperienza del genere, di una conversazione “rubata” a due uomini mai visti in volto da qualcuno che dalle loro nuche ha cercato di carpirne le caratteristiche. La storia – o sarebbe meglio dire l’aneddoto filosofico? – riguarda una tribù lontana che, imparando a porre le “domande giuste” al proprio oracolo, si truttura, cresce, progredisce, acquisisce nuove tecnologie, ma sembra non acquisire realmente competenze che la portino a cercare autonomamente anche le risposte. Tutto da leggere, troppo complesso da spiegare senza rischio di spoiler! 😉
5. CARO VECCHIO NEON
Pe tutta la vita sono stato un impostore. E non esagero. Ho praticamente passato tutto il mio tempo a creare un’immagine di me da offrire agli altri. Più che altro per piacere o per essere ammirato. Forse è un po’ più complicato di così. Ma se andiamo a stringere il succo è quello: piacere, essere amati. […] Adoperando tutto questo tempo e quest’energia per creare una certa immagine di me e ricevere quell’approvazione o quell’accoglienza che poi però non mi dava niente perché non aeva niente a che fare con chi ero realmente dentro, e mi facevo schifo per essere sempre un tale impostore, ma sembrava che non potessi farne a meno. ecco alcune delle tante cose che ho sperimentato: l’elettroshockterapia, un viaggio di andata e ritorno in Nuova Scozia con una bici a dieci marce, l’ipnosi, la cocaina, la chiropratica sacrocervicale, l’adesione a una religione carismatica, il jogging, un lavoro pro bono per l’Ad Council, i corsi di meditazione, la massoneria, l’analisi, il Landmark Forum, il Corso in Miracoli, un laboratorio di disegno per sviluppare l’emisfero celebrale destro, il celibato, la collezione e il restauro di Crvette d’annata, e cercare di andare a letto con una ragazza diversa per due mesi di fila […].
Un lungo monologo interiore di un giovane uomo, Neal, che cerca di spiegare come sia giunto alla decisione di suicidarsi e l’abbia messa in pratica con l’intento di porre fine alle proprie menzogne.
6. LA FILOSOFIA E LO SPECCHIO DELLA NATURA
Una madre e un figlio. Una madre sfigurata da interventi di chirurgia estetica non riusciti e un figlio in libertà vigilata.
Viaggi in autobus studiati per cercare di passare inosservati verso mete inevitabili.
Azioni, reazioni, pensieri, emozioni e sguardi.
Leggendo il racconto si può ridere o commuoversi profondamente, a seconda che ci si concentri sulla pacatezza dei toni spesso ironici o sui risvolti umani della vicenda.
7. OBLIO
Questo racconto, che dà il nome alla raccolta, narra letteralmente di un’esperienza di oblio.
Elementi: una coppia sposata da tempo, una figlia che parte per frequentare il college, crisi di identità create dal tempo che passa e, protagonista, il sonno in diverse sue manifestazioni (il dormire, la veglia, l’insonnia, il linguaggio tecnico che lo differenzia a seconda della fase in cui il corpo si trova, sogni, incubi, allucinazioni…).
8. IL CANALE DEL DOLORE
Skip Atwater è un giornalista della rivista Style e si occupa della rubrica CSDNM, ovvero Che Si Dice Nel Mondo.
Skip Atwater vuole fortissimamente scrivere un articolo su Brint Moltke, artista dell’Indiana i quali escrementi riproducono fedelmente, senza alcuna necessità di essere manipolati e senza nessun tipo di modificazioni a posteriori, monumenti di tutto il mondo.
Skip Atwater deve trovare il modo di vincere le resistenze dei “pezzi grossi” della redazione rispetto alla pubblicazione di un articolo sulla “merda”, seppur d’artista.
Trovo che quest’ultimo racconto sia geniale.
Geniale il fatto di “citare” la vicenda di Piero Manzoni rendendola ancor più estrema, assurda, sublime.
Geniale il fatto che il giornalista si chiami “Skip Atwater” che mentre leggevo non potevo fare a meno che italianizzare come “Svignarsela al Bagno” (non è proprio la traduzione letterale, ma è ciò che non potevo evitare di pensare, sorry!).
Geniale la costruzione dei personaggi (le stagiste attentissime alla linea e dai vestiti firmati quanto Amber “la donna mostruosamente obesa più sexy che Atwater avesse mai visto”), la definizione dei dettagli, la descrizione dei processi di produzione editoriale e delle gerarchie, il tono del racconto, il ritmo della narrazione, l’ironia, l’umorismo, il tatto…
Semplicemente geniale e sorprendente! 😀
P. S. Peccato averlo finito di leggere solo ora… dato che sono 8 racconti, potevo farne il mio articolo per il n° 008 di Brand Care magazine che esce domani online e che ha come tema proprio l'”8″. Non perdetelo in gni caso! 😉
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