I colori di Georgia O’Keeffe in mostra a Roma
Fino al 22 gennaio 2012 chi si troverà a Roma potrà decidere di andare a vedere la strabiliante mostra dedicata a Georgia O’Keeffe presso la Fondazione Roma Museo a Palazzo Cipolla. Io ci sono stata e – con non poche difficoltà nel tradurle a parole – cercherò di condividere le emozioni che le sue tele mi hanno trasmesso.
Avevo visto una mostra fotografica dedicata a Georgia O’Keeffe a New York: alcuni scatti di Stieglitz, alcuni autoscatti dell’artista – quasi tutti nudi – e un paio di tele. Già lì la sua grazia e l’amore per la vita che le forme lasciavano trasparire mi avevano toccato profondamente.
La mostra romana a lei dedicata mi ha rapito per oltre due ore e mi ha lasciata senza parole per diverse ore successive, con gli occhi pieni di colori e forme tanto stimolanti da essere quasi dolorosi.
Questi gli appunti presi, non potendo fare delle fotografie, durante il mio girovagare tra le sue opere:
Intensi i suoi dipinti: per sua stessa ammissione i nudi son nudi non quanto i paesaggi, non quanto gli avocado, le calle o le foglie di granturco… Né quanto le forme semplici e nette, sature e sinuose anche quando rette, delle sue figure astratte.
A mio avviso donna di grande fascino, bella ed enigmatica, Georgia O’Keeffe nei suoi ritratti fotografici ha sempre uno sguardo limpido e brillante come il cristallo, dallo sguardo come dai suoi quadri si direbbe di grande profondità sensibilità, intelligenza e allegria: anche se le fotografie son tutte in bianco e nero e i suoi abiti sembra avessero dei colori tenui, personalmente la percepisco composta da allegre e contrastanti nuance, proprio come le sue tele.
Meravigliosamente plastiche le sue tre opere scultoree. Solo tre in tutta la vita. Quella dedicata alla madre in particolare è così avvolgente e piena di grazia da commuovere.
La sua “fase dei teschi di cavallo” è quella che meno preferisco a livello visivo rispetto alle rappresentazioni totalmente astratte, alle raffigurazioni cittadine o paesaggistiche e ai suoi splendidi fiori e frutti, ma in ogni caso ne apprezzo l’idea e ne trovo esilarante l’ironia che l’artista utilizza nel ritrarre quelle che non appaiono più essere testimonianze di morte, bensì di vita, una vita che il deserto nasconde o depreda.
Molto bravi i curatori che hanno scelto non solo di esporre le opere, ma anche di ricrearne i contesti in cui sono state concepite ed esposte: New York e la Fifth Avenue delle gallerie d’arte ricostruita nella sua essenza, Lake George così tanto verde da diventarlo troppo – a un certo punto – per la pittrice e il New Mexico con l’hacienda che la O’Keeffe tanto ha desiderato e il cui acquisto tanto l’ha fatta penare.
Vi consiglio vivamente – se non lo avete già fatto – di visitare la mostra: sicuramente ne uscirete diversi, arricchiti e più creativi.
Fatemi sapere se ho avuto ragione! 🙂
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