Più lontano ancora di Jonathan Franzen [libro]
“Più lontano ancora” di Jonathan Franzen [amico di David Foster Wallace] è una raccolta di riflessioni, racconti, recensioni di libri e reportage di viaggio: un libro per molti aspetti interessante, che si lascia leggere con piacere, soprattutto da birdwatcher e amanti della letteratura.
Devo subito ammettere una cosa, di “Più lontano ancora” – scritto da Jonathan Franzen e pubblicato da Einaudi – quel che ho apprezzato meno in assoluto è stata la struttura. Si tratta di una raccolta che pare si sia pensato di riordinare semplicemente su base cronologica, inserendo i brani dal più recente al meno recente. Tale scelta in questo caso – a mio avviso – denota una non grande considerazione del lettore che si ritrova sballottato da un argomento e all’altro, senza riuscire – sino alla fine e con non poco sforzo – ad apprezzare l’evoluzione del pensiero dell’autore rispetto ai temi trattati.
Nel libro, invece, si potevano individuare alcune macrocategorie interessanti [ il dolore, il birdwatching e l’ambiente, la lettura e la scrittura, le riflessioni sulla vita e sulla società] attraverso le quali guidare il lettore, ricostruendo dei percorsi di riflessioni di cui egli, invece, nell’attuale pubblicazione riesce a scorgere solo una volta portato a termine la lettura di tutto il volume. Qualcuno potrà obiettare che non è un gran problema in una raccolta, ma su questo non mi troverebbe d’accordo: la scrittura di Franzen, la sua abilità nel costruire molteplici stili narrativi in funzione dell'”oggetto di indagine” del proprio pensiero, rischia di venir penalizzata dalla struttura che si è voluta dare all’opera.
In sintesi, diverse potevano essere le soluzioni per riordirare i brani di Jonathan Franzen all’interno delle pagine di “Più lontano ancora”, a mio avviso il fatto di scegliere di NON costruire un fil rouge da proporre al lettore qui non comunica obiettività da parte dell’editore, bensì poca attenzione al piacere della lettura.
Per il resto il libro è molto godibile, la scrittura di Franzen sa essere asciutta senza essere arida, trasmette emozioni senza mai divenir stucchevole, il suo stile appare molto malleabile e Jonathan Franzen lo modula sempre adeguatamente rispetto alla materia di cui si trova a scrivere: ho adorato il suo modo di “recensire” libri, mi ha fatto venir voglia di leggere tutti i testi da lui citati [e sono tantissimi]; ho apprezzato tantissimo il suo modo ironico di essere “grammarnazi” in “Comma – then”; ho trovato splendidamente creativo il suo modo di presentare le proprie riflessioni sociologiche in “Intervista allo Stato di New York”, così come sono stata colpita dall’ironia che è riuscito a imprimere al suo “I Just Called to Say I Love You” riuscendo a catalizzare in modo divertente i suoi pensieri irritati.
Ma più di tutti sono stata rapita da “La narrativa autobiografica”. Si tratta del discorso scritto per una conferenza. In realtà tale discorso non è né particolarmente originale, né particolarmente acuto dato ci ho ritrovato posizioni che già altri autori che “frequento” hanno espresso in differenti situazioni, ma per me è stato “illuminante”. Sarà il fatto di parlare degli scritti autobiografici utilizzando la propria autobiografia, sarà perché il punto di vista è espresso in maniera squisitamente personale senza divenire mai egocentrico, sarà anche perché condivido completamente la sua posizione rispetto al tema, Franzen ha saputo descrivere in maniera più completa ed empatica di altri cosa “manca” ad alcuni libri: la lealtà, valore che chiunque scriva non dovrebbe mai sottovalutare.
Non voglio dirvi altro, ho già rischiato lo spoiler. Buona lettura! 🙂
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