Venezia vol. 3/5 [la Biennale: Giardini]
Questa è la terza puntata [sono 5 in tutto, siamo a più di metà!] delle mie finte-ferie agostane 2013 che hanno preferito l’arte contemporanea della 55° Biennale di Venezia [e non solo] alla tintarella presa su qualche spiaggia. Oggi leggerete il mio reportage della visita ai Giardini della Biennale, un luogo incantato in cui passeggiare è piacevolissimo.
In verità la tintarella l’ho presa lo stesso [anche se un po’ “da muratore”], andando in giro sotto il Solleone di Venezia in canotta e gonna da tennista [il mio out-fit estivo da turista] anche perché io per voi ho riorganizzato le mie peregrinazioni affinché fossero leggibili e intellegibili, ma il mio girovagare è stato ordinatamente caotico in modo da accompagnare ispirazione, orari di apertura e chiusura, ma anche semplicemente calura e ritmi biologici [a un certo punto anche ai più grandi appassionati vien fame!].
Del padiglione centrale dei Giardini vi consiglio di soffermarvi qualche istante in più di fronte ai bellissimi i dipinti di Lynette Yiadom-Boakye, soprattutto quelli raffiguranti splendide donne di colore, le cui figure che si dissolvono morbidamente nello sfondo senza per questo perdere di riconoscibilità; di sporgervi sulle teche e concentrarvi sui dettagli dei meravigliosi i “Diari di Franz Kafka” creati da José Antonio Suàrez Londoño; di non dimenticare di leggere le didascalie [io ne ho tralasciate pochissime] delle 180 sculture in argilla cruda di Peter Fischli e David Weiss dalla pungente ironia mista a un’abilità non comune di “pensare laterale” [nelle foto “Il Dottor Spock guarda al suo pianeta natìo Vulcano ed è un po’ triste perché non può provare alcun sentimento” e “Due scimmie che non capiscono il mistero del monolite”].
Per quanto riguarda i padiglioni “nazionali” [che qui in particolare mi sembrava perdessero di senso dato che, per esempio, la Germania apriva con un’opera di un artista cinese], numerose son state per me le sorprese:
- I Tedeschi, per l’appunto, mi hanno regalato la possibilità di ammirare, e rimaner tanto stupita quanto divertita da, la scultura completamente fatta di sgabelli di Ai Weiwei che “ingombrava” interamente l’ingresso del padiglione estendendosi sino al soffitto e lasciando appena qualche “buco” per sgusciar dentro e proseguire la visita
- La Russia fonde arte concettuale e performance interrogandosi su vizi, virtù e valori a cui la società dovrebbe tendere: un’esposizione tanto accattivante e suggestiva, quanto cinica
- Il padiglione della Repubblica Ceca e di quella Slovacca viene reso affascinante dall’opera di Petra Feriancovà dal titolo “An Order of Things”: una carambola di quadri dalle mastodontiche dimensioniche si lascia ammirare solo in parte, scatenando negli individui più curiosi – come me – la voglia di sbirciare tra una cornice e l’altra per assaporarne tutti i dettagli
- Suggestivo l’allestimento della Finlandia in cui l’artista Terike Haapoja “scompone” e “ricompone” la natura a suo piacimento: da vedere il video in cui mostra anche “come fa”, forse ancora più sorprendente delle sue opere
- L’Ungheria propone una riflessione sulla guerra e gli ordigni inesplosi che, nella sua semplicità mette letteralmente i brividi: numerosi schermi sparsi per una stanza buia, sintonizzati ognuno sull’immagine di una bomba inesplosa associata a un sottofondo musicale o a suoni totalmente in contrasto con l’immagine, quali dolci melodie, risate o simili
- Israele “romanza” con “The Workshop”, l’arrivo di Gilad Ratman e della sua cricca a Venezia [per comprenderne appieno la geniale creatività occorre dedicare qualche minuto a ogni video]
- Imperdibile il padiglione Made in USA e le opere di Sarah Sze: una maniacale cura e precisione per la costruzione di “meccanismi e ingranaggi di caos” da osservare con attenzione
- Il malfunzionamento dell’opera polacca mi ha profondamente deluso e il padiglione serbo non mi ha entusiasmato sinché non ho visto la scultura di Kaled Zaki in cui l’eleganza delle forme del bronzo [?] viene sfiorata dalla luce in un modo che fa rimanere senza respiro
- Dell’esposizione egiziana, infine, non si finirebbe mai di osservare i volumi delle opere fotografate da Odires Mlàszho
Ovviamente anche ai Giardini, i padiglioni e le opere presenti erano molte, ma molte di più, ma se tornassi indietro e dovessi scegliere, queste assolutamente non vorrei perdermele: ecco qualche foto.
Se il mio reportage di viaggio su Venezia e la Biennale vi sta piacendo, mantenetevi occupati nel week-end rileggendo le prime tre puntate, in attesa di quella di lunedì: vi racconterò i padiglioni e gli eventi collaterali sparsi per la città che ho avuto modo di visitare e che vi consiglio! 😉
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